La mente umana è un universo ancora in gran parte inesplorato, la psicologia da secoli ne studia e analizza i suoi misteri, a volte ricorrendo ad esperimenti poco etici come vedremo in questo caso.

Conosciamo l’ideatore dell’esperimento: chi era Watson?

John B. Watson (1878 – 1958) fu un noto psicologo statunitense, considerato il padre del Comportamentismo, la sua vita privata e lavorativa non furono certo prive di scandali e controversie.

Figlio di una madre rigida, proibizionista e fortemente religiosa e di un padre con problemi di l’alcool, il quale era anche solito tradire la moglie, non visse un infanzia ed adolescenza particolarmente tranquille, andando incontro più volte anche a problemi con la legge.

Successivamente si rivela essere una mente particolarmente brillante a livello accademico, le sue pubblicazioni cambiano per molti versi le sorti della psicologia moderna, ricevendo premi e incarichi importanti in ambito scientifico e psicologico.

Durante questi anni, si sposa con una donna ricca di nome Mary Icks che successivamente tradirà ripetutamente con una sua studentessa appena maggiorenne. Scoppiato lo scandalo verrà allontanato dall’università e si dedicherà con la sua nuova giovane compagna (che sposerà dopo poco più di un anno) allo studio della mente e ai comportamenti umani.

Il crudele esperimento del piccolo Albert

Nel 1920 insieme alla sua ex studentessa, ora moglie Rosalie Rayner, decise di condurre un esperimento volto a dimostrare che le emozioni primarie (tra cui la paura) sono il frutto del condizionamento ambientale e non derivano da fattori genetici o altro.

Per dimostrare questa sua tesi, i due studiosi presero come cavia Albert, un bambino di appena 9 mesi, malato di idrocefalia.

Il bambino viene messo a contatto con: un cane, un topolino da laboratorio, un coniglio, una scimmia, una maschera di babbo natale, un giornale infuocato e altri oggetti.

Il bambino indistintamente risulta non avere paura davanti a nessuna di queste situazioni a cui veniva esposto, anzi si mostra particolarmente amichevole e giocava con gli animaletti intorno a lui.

Dopo che il piccolo dimostrò di non avere paura e anzi mostrava curiosità, affezione e comportamenti giocosi verso quel mondo esterno che gli si presentava per la prima volta, decisero instaurare in lui la paura, dimostrando così che fosse un emozione appresa e non innata.

Gli sperimentatori nelle fasi successive creano un rumore violento accanto al piccolo Albert (sbattendo vicino a lui un grosso martello su una lastra) ogni volta che il bambino si avvicina ad i suoi nuovi compagni di gioco.

Questa azione veniva ripetuta svariate volte portando il bambino ad impaurirsi e piangere sempre più.

Il test fu ripetuto proseguendo con queste modalità per diverse settimane. Più si andava avanti più il bambino terrorizzato, viveva questo trauma in una condizione di paura.

Quello che gli sperimentatori osservarono, è che seppur avessero smesso di colpire la lastra con il martello ogni volta che il bambino si avvicinava agli oggetti (prima vissuti come positivi), il piccolo Albert ormai appariva traumatizzato ed impaurito da ciò con cui invece prima giocava e si divertiva.

Ogni qual volta vedeva il topolino bianco, il coniglio, la maschera di babbo natale ecc. scoppiava a piangere e cercava di scappare.

Terminato l’esperimento fecero passare circa 3 mesi prima di voler rivedere il piccolo Albert che nel frattempo non era più stato esposto a quei rumori-oggetti.

La cosa sorprendente, per l’epoca, fu vedere che la paura verso tutti quegli animali/oggetti era rimasta pressoché intatta, questo significava che avevano (dal nulla) creato in lui delle paure durature che lo avrebbero accompagnato per buona parte della sua vita.

L’esperimento in teoria doveva prevedere una seconda parte, in cui tramite l’associazione con rinforzi positivi (caramelle ecc.) si voleva riportare Albert a non avere più quella paura.

Tuttavia questo non avvenne mai, non è chiaro il perché venne a mancare questa seconda parte, e delle sorti del bambino negli anni successivi non se ne seppe praticamente più nulla.

Che fine ha fatto il piccolo Albert?

Questa crudele e misteriosa storia, porta con se tanti dubbi e poche risposte.

Vi sono tre principali, studi, teorie e ricostruzioni su cosa sia accaduto poi:

  1. Secondo Hall Beck (uno psicologo che successivamente si interessò a conoscere la verità sull’accaduto), Albert si chiamava in realtà Douglas Merritte, era un bambino che soffriva di idrocefalia fin dalla nascita e che morì a sei anni per la stessa patologia portandosi dietro buona parte delle sue paure.
  2. Un altro psicologo, Russell A. Powell, mise in dubbio la ricerca di Beck e a seguito di una nuova sua indagine terminata nel 2012, affermò che il piccolo Albert si chiamava in realtà William Albert Barger, che si trattava di un bambino in perfetta salute il quale morì a 88 anni. Secondo la sua ricerca Albert sviluppò una repulsione/paura/astio verso buona parte degli animali.
  3. L’ultima ipotesi del 2014 svolta dal ricercatore Tom Barlett, sosteneva che i bambini in realtà fossero due e che le due storie descritte fossero entrambi reali.

Che fine fece Watson?

A seguito di questo episodio e dello scandalo con la sua giovane studentessa, venne radiato e perse i suoi titoli accademici.

Sposò la sua giovane studentessa con cui ebbe due figli, i quali entrambi in età adulta tentarono il suicidio (uno di loro ci riuscì).

Watson iniziò a lavorare nel mondo della pubblicità apportando varie tecniche psicologiche al mondo della vendita e dei Media.

Nel 1950 gli furono restituiti i titoli accademici poiché aveva smesso di fare la professione di psicologo/sperimentatore e si era dedicato ad altri ambiti, la vendita e la pubblicità.

Conclusioni

Molte di queste storie hanno spesso macchiato il mondo scientifico, considerato di oltrepassare i limiti e di mancare di etica e umanità.

Fortunatamente ai giorni nostri non è più possibile condurre esperimenti del genere e sempre più restrittive stanno diventando le regolamentazioni anche sugli animali.

Non vogliamo elevarci a giudici o moralisti, l’importanza delle scoperte scientifiche (che siano esse mediche, psicologiche ecc) sono sotto gli occhi di tutti (o quasi). Hanno contribuito a creare un mondo sotto tanti aspetti migliore, ci auguriamo soltanto che per far ciò non si debbano più pagare questi prezzi che poco hanno di umano.