Mentre la maggior parte degli individui sente che il proprio sesso biologico coincide perfettamente con la propria identità di genere, per qualcuno non è così: ci sono persone, infatti, che sentono di appartenere al sesso opposto e che dunque non si riconoscono nel proprio corpo.

La disforia di genere non è una patologia

Fino a pochi anni fa, il DSM (acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) si riferiva a questa condizione parlando di disturbo di identità di genere.

Nella sua ultima edizione, tuttavia, quella del 2013, l’introduzione del termine “disforia” in sostituzione di “disturbo” ha mostrato la chiara volontà da parte della comunità scientifica di non identificare la condizione in oggetto come malattia.

Il peso di vivere in un corpo che non ci appartiene

Dal greco dysphoría, composto di dys- (male) e un derivato di phérein (sopportare), la disforia è qualcosa di difficile, doloroso da sopportare.

E se la esploriamo con mente e cuore aperto, non possiamo che  comprenderne le ragioni: non riconoscersi nel proprio sesso fenotipico, infatti, equivale al sentirsi intrappolati – per via di una sorta di incidente biologico – in un corpo vissuto come totalmente estraneo. E non solo di tanto in tanto, ma in maniera persistente. Le prime manifestazioni possono essere colte già verso i tre o quattro anni nelle più disparate forme.

Tipicamente, tuttavia, si osserva che il bambino o la bambina preferisce indossare abiti del sesso opposto, opta per giochi in cui vi è uno scambio di ruolo o destinati all’altro sesso, desidera (o afferma di) appartenere al sesso opposto, mostra emozioni negative nei confronti dei propri genitali.

Disforia e crisi adolescenziale

Se in età evolutiva il tutto viene vissuto in maniera assolutamente normale, è con l’adolescenza che tale condizione diventa un vero e proprio disagio, ciò in ragione sia del forte (spesso addirittura lacerante) conflitto interiore sia per lo stigma e la discriminazione sociale ad essa associati.

In questa delicata epoca della vita non è infrequente che venga sperimentato un complesso ventaglio di sintomi che vanno dall’ansia, alla depressione, all’inappetenza, per giungere all’anoressia e, nei casi più gravi, a fenomeni di autolesionismo o a tendenze suicidarie.

Il desiderio di essere compresi ed accettati

È evidente che l’evoluzione e la gravità del quadro sintomatologico dipendono significativamente dal grado di inclusione percepito dal ragazzo o dalla ragazza.

Purtroppo, è esperienza comune per loro sentire addosso lo sguardo spietato e giudicante della società che li raffigura come diversi, malati immaginari, fenomeni da baraccone, o semplicemente pazzi.

Una società che troppo presuntuosamente e sbrigativamente li colloca all’interno di una categoria dai confini quanto più possibile impermeabili, svilendone in maniera definitiva l’umanità. Non più persone, dunque, né giovani in difficoltà che cercano disperatamente un appiglio, ma figure grigie da temere e da tenere a (molta) distanza.

E quando è questo il trattamento che viene riservato loro anche dai familiari, si può comprendere lo sconforto e l’umiliazione vissuti da chi ha ancora le spalle troppo strette per sostenere un simile peso.

Se per alcuni intraprendere un percorso che conduce a un cambiamento radicale del proprio corpo è l’unica strada percorribile, per altri vivere in un mondo incapace di comprendere e accogliere l’essere umano per ciò che è, nella sua verità, può diventare così penoso da decidere che non vale più la pena farlo.

Certamente non tutti vedono in questo gesto estremo la via d’uscita dalla propria sofferenza. Tuttavia, se ciò riguardasse anche solo una piccola minoranza, noi tutti avremmo lo stesso il dovere di intervenire alla svelta.

Ciascuno di noi, infatti, con le proprie azioni e parole, ma persino con i propri pensieri, contribuisce giorno dopo giorno a plasmare la cultura del sistema in cui vive, sia esso familiare, lavorativo o, più in generale, sociale. E se pensiamo male, da ignoranti, ci muoveremo male, e finiremo col fare del male, a noi e agli altri.

Non chiudiamoci nei nostri pregiudizi

Perché allora non provare a prenderci una pausa e spingere il pensiero un po’ più in là?

È proprio il fermarci, infatti, che ci permette di vedere in maniera più lucida e profonda ciò che è. E in questa sosta silenziosa iniziamo a farci le domande giuste. Ma in fondo, sarà poi così corretto concepire l’identità di genere come una variabile binaria?

La domanda è più che legittima anche, se vogliamo, alla luce delle risultanze sperimentali che mostrano uno spaccato di realtà ben diverso da quello che generalmente si immagina:

numerosi studi1,2,3 pubblicati su autorevoli riviste scientifiche hanno messo in luce che una quota variabile tra l’1,2% e il 4,1% degli adolescenti mostra incongruenza di genere (maschi che si sentono femmine e viceversa), mentre per quanto concerne la popolazione adulta, un altro studio4 evidenzia un’incidenza pari allo 0.7% negli uomini e allo 0.6% nelle donne.

Stando così le cose, non solo è più realistico ma anche più amorevole pensare all’identità di genere come a una caratteristica sfumata, fatta di tonalità grigie anziché di un netto bianco o nero.

La disforia, in questo senso, è una delle tante possibili tonalità, diversa quanto tutte le altre, strana quanto tutte le altre, giusta quanto tutte le altre, e quanto tutte le altre normale.

Iniziamo da qui, iniziamo noi, prima di chiedere di cambiare leggi e regolamenti a chi è in grado di farlo per via del ruolo che occupa. Ciò sarà solo l’effetto, inevitabile, di un nostro mutato atteggiamento interiore.

Riferimenti bibliografici

1. Shields JP, Cohen R, Glassman JR, et al. (2013). Estimating population size and demographic characteristics of lesbian, gay, bisexual, and transgender youth in middle school. J Adolesc Health, 52, 248–50.

2. Sumia M, Lindberg N, Työläjärvi M, et al. (2017). Current and recalled childhood gender identity in community youth in comparison to referred adolescents seeking sex reassignment. J Adolesc, 56,34–9.

3. Eisenberg ME, Gower AL, McMorris BJ, et al. (2017). Risk and protective factors in the lives of transgender/gender nonconforming adolescents. J Adolesc Health, 61:521-6.

4. Van Caenegem, E, Wierckx, K, Elaut, E, et al. (2015). Prevalence of gender nonconformity in Flanders, Belgium. Archives of Sexual Behavior, 44, 1281-1287.